(testo dell’intervento pronunciato ieri, 4 novembre 2018, a Bazzano, presso il monumento ai Caduti di tutte le guerre durante la celebrazione della Giornata dell’Unità Nazionale e delle Forze Armate)
È un grande onore rappresentare il Comune di Valsamoggia e la Municipalità di Bazzano in questa ricorrenza, in cui in qualche modo il velo della storia sembra distendersi sulla nostra quotidianità. Esattamente cento anni fa, infatti, terminava quella guerra che tuttora, nel vocabolario ancor prima che nell’immaginario degli italiani, definiamo “Grande”.
L’Amministrazione Comunale ha ricordato questo evento con varie iniziative – in particolare con una mostra nella Rocca dei Bentivoglio –, grazie alle quali i tanti visitatori hanno potuto farsi un’idea di che cosa abbia voluto dire quella drammatica esperienza. Non solo per i tanti che erano al fronte – abbiamo appena visto, incisi nel marmo, i nomi dei tanti bazzanesi che hanno lasciato la vita nelle trincee e nei campi, insieme a centinaia di migliaia di altri ragazzi di tutt’Italia, a milioni di giovani in tutt’Europa –; ma anche per tutti coloro che, pur lontani dal fronte, vivevano le conseguenze della guerra nella propria vita: nella miseria, che spesso era il peggioramento di una endemica povertà; nella precarietà, nella trepidazione per i propri cari in battaglia, nella paura per sé e per la propria famiglia…
Onorare il sacrificio dei tanti che hanno dato la vita per il proprio Paese non è in alcun modo in contraddizione col ricordare l’atrocità di quella guerra, che papa Benedetto XV ebbe a chiamare “l’inutile strage”, aggiungendo subito dopo: “nulla è perduto con la pace, tutto può esserlo con la guerra!”. Un monito valido anche oggi: per ricordarci che è con il dialogo, con la diplomazia, con la giusta rivendicazione delle proprie ragioni che i popoli possono efficacemente difendere i loro legittimi interessi: è insieme che si possono risolvere le inevitabili dispute; è insieme, ancor più, che si possono affrontare i grandi problemi che non hanno alcuna vera soluzione se non a livello continentale o, ancor più, globale. I tanti cimiteri di guerra, i tanti sacrari che costellano metà dell’arco alpino, che istoriano dalle due parti tanti confini nel seno dell’Europa devono essere monumenti edificati nel sangue per la fratellanza e l’amicizia tra i popoli.
Anche celebrare l’unità nazionale, del resto, come facciamo oggi, significa tornare alle ragioni profonde della nostra convivenza civile; significa opporsi all’individualismo, all’egoismo, al particolarismo, all’indifferentismo: una sfida che vive prima di tutto dentro di noi.
Oggi ricordiamo tutti coloro che servono lo Stato, che servono la nostra comunità, garantendo ad essa pace, ordine, sicurezza. Un servizio di cui beneficiano anzitutto i più deboli, i più inermi, coloro che mai riuscirebbero a difendersi da soli. Vorrei menzionare particolarmente tutti coloro che, a diverso titolo, sono impegnati nel soccorrere le popolazioni di tante aree d’Italia colpite duramente dal maltempo di questi giorni: ulteriore esempio di problemi che non si possono risolvere se non con uno sforzo collettivo.
Servire la patria in armi può apparire un privilegio, ma implica una grande responsabilità. Da un lato, significa essere pronti a rischiare la vita tutte le volte che il dovere lo richieda: anche da un momento all’altro, in modo completamente imprevisto. Dall’altro, significa la consapevolezza che ogni eventuale abuso del proprio potere non solo disonora il corpo a cui si appartiene, non solo scandalizza le persone bisognose di protezione, ma viola lo stesso patto di convivenza su cui si fonda la nostra società.
Ringrazio tutte le associazioni e le realtà che hanno partecipato alle celebrazioni: in particolare l’ANPI, l’Associazione Nazionale Carabinieri, l’ANED. Vi invito a partecipare anche al giro dei cippi e delle targhe ai Caduti che si trovano nel nostro territorio, che compiremo ora, per completare questo doveroso atto di onore che diventa anche un modo per perpetuare la memoria locale.