La sostituzione del card. Müller con mons. Ladaria Ferrer come prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, il più importante dicastero vaticano, non è in alcun modo “spoil system”. In primo luogo perché Müller è arrivato alla conclusione naturale del suo mandato quinquennale. In secondo luogo perché lo spagnolo Ladaria Ferrer è il suo successore più naturale: segretario – cioè “numero due” – della Congregazione, nominato come Müller da Benedetto XVI già nel 2008, dopo una “carriera” da teologo tutta romana, prima alla Pontificia università gregoriana poi nella stessa Congregazione.
L’avvicendamento di Müller è stato annunciato dal Vaticano sabato 1° luglio dopo una giornata di voci sempre più insistenti, le prime nel sottobosco dei blog tradizionalisti. La tempistica ha fatto pensare a molti osservatori che la fonte fosse lo stesso Müller, che era stato ricevuto in udienza dal papa proprio venerdì 30 giugno.
Müller, beninteso, è un personaggio poliedrico: non si può considerare un conservatore a tutto tondo, né tantomeno un tradizionalista. Vanno ricordate, per esempio, le sue aperture e i suoi gesti nei confronti degli esponenti della teologia della liberazione. Nel serrato dibattito che dura dalla pubblicazione di Amoris laetitia sicuramente ha promosso un’interpretazione “continuista” dei passi più discussi, diversa da quella a cui papa Francesco ha dimostrato di accordare favore; mentre nel dibattito del sinodo sulla famiglia del 2015 è stato – insieme ad altri esponenti di primo piano della Curia come Pell e Sarah – tra i firmatari della “lettera dei 13 cardinali” (alcuni poi, non lui, negarono di averla sottoscritta) che protestavano per alcune procedure sinodali.
Un altro momento irrituale fu la sua dichiarazione, nell’aprile del 2015, per cui la Congregazione per la dottrina della fede aveva il compito di “strutturare teologicamente” un pontificato. Poco prima, peraltro, aveva pubblicato un articolo piuttosto strutturato sui “Criteri teologici per una riforma della Chiesa e della Curia romana”, mostrando un’adesione convinta al progetto di riforma di Francesco e mettendone in evidenza la continuità con gli intenti di Benedetto XVI.
Più che le singole posizioni espresse, può essere che sia stato il piglio piuttosto presenzialista di Müller a convincere papa Francesco a non rinnovare il suo incarico. Forse, invece, hanno avuto un ruolo decisivo le accuse alla Congregazione per la dottrina della fede di conservare ancora zone d’ombra in cui si annidavano efficaci resistenze alla “linea dura” del Vaticano – inaugurata, beninteso, da Benedetto XVI – contro la pedofilia nel clero (in particolare rispetto alla deposizione dei vescovi negligenti): sono di poche settimane fa le dichiarazioni molto dure di Marie Collins in polemica col card. Müller dopo le dimissioni della Collins dalla Commissione per la tutela dei minori istituita nel 2014.
Ladaria Ferrer ha un profilo dottrinalmente moderato e personalmente riservato. Certo è un gesuita, come Francesco, cosa che rendeva per alcuni improbabile la successione. Da lui è lecito attendersi una discontinuità nell’atteggiamento più che nella posizione dottrinale. Sarà interessante osservare chi sarà il nuovo segretario della Congregazione: probabilmente sarà nominato dopo una consultazione con lo stesso Ladaria Ferrer: un altro segno di un avvicendamento “fisiologico” anche se non scontato.