Due spiccioli sulle elezioni regionali in Molise

23 aprile 2018

Il Molise non è l’Ohio e l’idea che i risultati delle regionali dettino l’agenda a Mattarella è risibile come sarebbe affidare a De Toma – il candidato del centrodestra che si è ormai aggiudicato la presidenza della Regione – la formazione del nuovo governo a Roma.

Ciò detto, qualche riflessione su queste elezioni si può pure fare.

1) L’onda Cinque Stelle non è inarrestabile, nemmeno al Centro-Sud.

2) I Cinque Stelle hanno comunque ottenuto un risultato enorme rispetto alle precedenti regionali (37% contro 12%).

3) I Cinque Stelle si confermano più deboli sul piano locale, essendo ancora carenti nel radicamento territoriale. Da questo punto di vista, aver moltiplicato le liste mettendo in campo una grandissima quantità di candidati locali è stata sicuramente una mossa vincente per il centrodestra. (Mentre rinunciare a qualunque genere di coalizione e presentarsi con la sola lista M5S rischia di diventare un handicap per il Movimento proprio mentre ci sono le condizioni per un suo avanzamento nei territori.)

4) Il centrosinistra cala rispetto al risultato già pessimo delle politiche. E’ un tracollo che la coalizione “larga” non riesce assolutamente a frenare. Il risultato molto brutto del PD non si spiega unicamente con il “sacrificio” rispetto alle civiche, peraltro poco utile, né con motivazioni legate al malcontento per l’amministrazione uscente – che certo non ha giovato. L’impressione è quella di una grave marginalità e labilità. Anche LeU è in calo.

5) La molteplicità delle sigle vizia qualunque confronto interno tra le liste “nazionali” del centrodestra. Converrà limitarsi che la Lega, nonostante lo scarso radicamento locale, non cala rispetto alle politiche, e che il bacino dell’area che fa capo a Forza Italia è alquanto ampio; accanto ad esso, riprende vigore un’area “moderata” era in gran parte confluita in FI. Non male anche FdI.

6) Azzardando ipotesi sui flussi di voto: sicuramente il M5S viene penalizzato dall’astensione più alta (seppur relativamente fisiologica: al dato complessivo va tolto quello degli oltre 70.000 molisani residenti all’estero, che non erano computati alle politiche); difficile che abbia influito un calo di consenso per il comportamento del Movimento a Roma dopo le politiche; molto più probabile che un certo numero di elettori M5S delle politiche abbia deciso, alle regionali, di premiare candidati (soprattutto di centrodestra) a lui più “vicini”. Da questo punto di vista la nuova legge elettorale regionale, che impediva il voto disgiunto, ha probabilmente avuto un influsso non trascurabile.
Il centrosinistra probabilmente cede al centrodestra voti legati ai candidati “transfughi” (alcuni consiglieri uscenti di centrosinistra si sono ricandidati, e saranno eletti, col centrodestra); ma più in generale, forse, sconta un “effetto ballottaggio” con la concentrazione di voti (d’opinione) sui due candidati che venivano avvertito come più competitivi.

 

Vedremo come questi dati si combineranno con quelli delle regionali del Friuli-Venezia Giulia domenica prossima (in quell’occasione si voterà anche per le comunali a Udine e in altri 18 comuni della Regione) prima delle elezioni comunali del 10 giugno, che interesseranno 762 comuni, tra cui Ancona e altri 20 capoluoghi di provincia. In Emilia-Romagna si voterà in 18 comuni; nel Bolognese, oltre all’importante test di Imola, ci saranno le elezioni anche a Camugnano; nel Modenese a Guiglia, Serramazzoni, Camposanto e Polinago.

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La fusione in Parlamento

22 febbraio 2013

La battaglia politica che si è consumata – e certo non spenta – sulla fusione dei Comuni della Valsamoggia avrà influenza sul risultato delle elezioni di domenica e lunedì in vallata? Dalle scelte degli abitanti della Valle del Samoggia per il Parlamento nazionale potremo trarre qualche indicazione per capire quali probabilità di successo avrà l’assalto alle amministrazioni locali targate PD? Un assalto, sia detto di passaggio, per il quale le opposizioni sembrano già mobilitate in una sorta di campagna elettorale permanente da qui al 2014, con la probabile intenzione di marciare separati per colpire uniti all’eventuale ballottaggio.

Le elezioni politiche sono il livello più distante dalla realtà amministrativa locale, nonché quello in cui le mode passeggere e gli eventi contingenti incidono meno sulle convinzioni e sulle abitudini sedimentate. Proprio per questo, paradossalmente, se gli eventi locali, e in particolare quelli relativi alla fusione dei Comuni, lasceranno un segno sulle elezioni del 24-25 in Valsamoggia, siamo autorizzati a pensare che tali tendenze potrebbero essere ancora più incisive alle elezioni amministrative del 2014 (ovviamente è una possibilità teorica: in quasi un anno e mezzo possono succedere molte cose).

Penso da un lato ai cittadini che, credendo nel progetto della fusione, e proprio grazie alla pesante polarizzazione politica che – qualunque cosa se ne pensi – si è sviluppata su questo tema, si sono avvicinati alle forze dell’attuale maggioranza, e in particolare al PD. C’è stato sicuramente uno spostamento di questo tipo da parte di esponenti vicini alle liste civiche: alcuni di essi sono anche noti. In parte è probabile che si tratti in buona parte di persone che comunque in passato avevano votato PD, ma che se ne erano successivamente distanziate, in particolare alle elezioni locali, ma forse anche in altre occasioni. Ma è possibile che questo effetto si sia verificato anche per una fascia più ampia di cittadini. Potrebbe quindi mostrarsi sotto forma di una prestazione più tonica del PD alle elezioni di questo fine settimana (un dato che andrà misurato sia rispetto ai risultati delle elezioni precedenti, sia rispetto a quelli dei Comuni vicini).

D’altro canto, una parte degli elettori dell’attuale maggioranza locale di centrosinistra si è schierata – molti nel segreto dell’urna, altri anche pubblicamente – contro la fusione dei Comuni. Per alcuni di essi ciò potrebbe non influire sulle scelte politiche nazionali; per altri, la virulenza della polemica sarà probabilmente tale da indurli a prendere le distanze dai partiti che hanno sostenuto la fusione anche nel voto del prossimo fine settimana. Ma (a parte l’ipotesi tutt’altro che peregrina che una parte di questi elettori scelga l’astensione), quali forze politiche ne beneficeranno? In prima fila ci sono il Movimento 5 Stelle e Sinistra e Libertà, che si dividono variamente buona parte dell’elettorato (nonché della dirigenza) delle liste civiche. Con alcune dinamiche particolari: SeL ha polemizzato nelle scorse settimane con i partiti ora raggruppati nella lista di Rivoluzione Civile – che si presentano come sinistra “dura e pura” in quanto non alleati col PD – rinfacciando loro di essersi “piegati” alla fusione dei Comuni (Federazione della Sinistra e Italia dei Valori hanno firmato il documento a favore della fusione e votato il provvedimento in Regione). Del resto SeL in Valsamoggia, anche nelle ultime settimane di campagna elettorale, sta insistendo con molta forza sulla questione della fusione, senza lasciar trapelare alcun imbarazzo per il fatto di presentarsi in coalizione col PD. Non è affatto escluso, del resto, che una parte di elettori di provenienza PD consideri il voto per SeL come adatto sia a marcare il proprio dissenso sulle questioni locali, sia a esprimere comunque un “voto utile” rimanendo nell’ambito del “classico” centrosinistra.

Naturalmente occorrerà osservare anche i voti del centrodestra, che si è compattamente schierato – PdL e Lega – contro la fusione. Sarà difficile trarre considerazioni dai risultati dell’UDC, sia perché il suo atteggiamento sulla fusione è stato, a livello locale, contraddittorio (alcuni esponenti si sono schierati a favore, altri – come pure in Regione – contro), sia perché si tratta di una formazione relativamente esigua. Un’eventuale tendenza delle liste civiche a catalizzare il voto delle opposizioni potrebbe lasciare qualche traccia anche nelle scelte politiche nazionali.

Si tratta di semplici ipotesi che potrebbero facilmente essere spazzate via se si verificherà che nei Comuni interessati dalla fusione il differenziale tra i risultati dei vari partiti sarà uguale a quello dei Comuni circostanti. Vedremo presto se queste piste di lettura avranno qualche fondamento, e se – guardando alle elezioni comunali del 2014 – le forze politiche locali saranno rafforzate dai risultati di lunedì, chi nei propri timori chi nelle proprie speranze. Che si mescolano – legittimamente, col debito senso delle proporzioni – alle speranze e ai timori di tutti gli italiani per il futuro del Paese in questo appuntamento cruciale.

 


Due notarelle sulla fusione dei Comuni

5 febbraio 2013

L’Assemblea legislativa della Regione Emilia-Romagna ha appena dato il via libera alla fusione dei cinque Comuni della Valsamoggia, con 28 voti favorevoli e 13 contrari. Scrivo queste due notarelle senza conoscere ancora i testi della discussione e – naturalmente – della decisione odierna.

Pochissimi giorni fa il Comitato Ambiente Salute Bazzano ha indetto per sabato prossimo una manifestazione contro la fusione, chiedendo le dimissioni del sindaco di Bazzano. Tutto legittimo, per carità, ognuno si può esprimere su ciò che meglio crede. Ma allo stesso modo ci si può interrogare sulla congruità di una presa di posizione – così forte, per giunta – con gli scopi dichiarati del comitato stesso, che non mi risulta abbia chiesto le dimissioni del sindaco neppure in occasione delle polemiche più accese (e ce ne sono state!) su vari temi ambientali.
Mi chiedo semplicemente se in quest’occasione il comitato non sia stato utilizzato come un paravento da parte delle forze politiche d’opposizione, in particolare dalle liste civiche o da qualche loro componente. O se sia il Comitato Ambiente Salute che sta agendo come una forza politica – peraltro mentre siamo in piena campagna elettorale nazionale (non è colpa di nessuno, solo della tempistica, ma è un dato di fatto). Lo dico perché Simone Rimondi – che è un amico, oltre a essere il leader di Civicamente Bazzano – solo pochissime settimane fa, di fronte alla richiesta di dimissioni del sindaco presentata dal consigliere PdL Girotti, ne aveva preso nettamente le distanze. Cosa pensa ora Civicamente Bazzano di questa nuova richiesta di dimissioni? Aderirà ufficialmente alla manifestazione di sabato, lascerà che i suoi esponenti partecipino “a titolo personale”, o che? Indovinala grillo, dicevano una volta. Con la g minuscola.

Frattanto, è un vero coro di illustri sostenitori della fusione (solo da ultimi: la vicepresidente della Regione, il segretario provinciale PD e quello della CGIL…) a insistere sulla necessità di dare il via a un ampio processo di partecipazione che coinvolga tutti i cittadini, anche quelli contrari alla fusione o perplessi, nel “processo costituente” che porterà alla creazione dello statuto del nuovo comune unico “e, in particolare, nella definizione e nell’organizzazione dei servizi condivisi” (così Simonetta Saliera secondo il Carlino di oggi).
Uno specchietto per le allodole? Un contentino? Non credo: penso che invece queste insistite raccomandazioni – che sono una presa di posizione molto precisa, anche se non so se e come ne rimarrà traccia nella deliberazione finale di oggi – siano da interpretare come una vera e propria “prescrizione” allegata all’approvazione del progetto. Un’ammissione implicita che fino a oggi questo percorso è stato largamente insufficiente – come anche la striminzita vittoria del referendum non può non evidenziare – e che la “definizione e l’organizzazione dei servizi condivisi” rappresenta a tutt’oggi una delle lacune maggiori del progetto. Nel momento in cui, con un indubbio successo, il processo di fusione riceve la sua consacrazione definitiva, si tratta di un ammonimento alle amministrazioni e alle forze politiche locali di maggioranza a cambiare di passo su questo punto.  L’augurio è che ne si tenga conto.


Per fare un tavolo

14 dicembre 2012

La nota ufficiale diramata ieri l’altro dai cinque sindaci della Valsamoggia mostra un certo equilibrio, che sembra nascere dalla composizione faticosa, ma forse fortunata, di linee parzialmente divergenti; pur riaffermando la decisa volontà di procedere verso la fusione dei Comuni, si differenzia sensibilmente dai toni vacuamente trionfalistici delle prime ore. Insomma, la perdurante volontà di proseguire il percorso verso la fusione non sembra più implicare la rivendicazione di una vittoria completa, assoluta, senza ombre.

Resta però faticoso capire come si voglia tradurre in pratica la volontà di dialogo che viene reiteratamente professata. I sindaci, infatti, non mettono in discussione la volontà di arrivare alla fusione, né la necessità che il processo sia compiuto nei tempi stabiliti, cioè in tempo per le elezioni amministrative del 2014. Tuttavia c’è un effettivo elemento nuovo. Accanto alla nota, in cui si afferma la volontà di aprire un “processo costituente del nuovo comune, a cui tutti siamo chiamati a dare spunti e contributi, forze politiche, associazioni, cittadinanza”, e la consapevolezza dello sforzo che richiederà trovare “una fase di discussione”, c’è la richiesta dei sindaci alla Regione perché posticipi la data entro cui essa dovrà deliberare sulla fusione. È un fatto dal valore limitato: si parla di due mesi in più. Ma è un valore reale: gli attuali 60 giorni previsti (e ne sono passati quasi venti) sarebbero troppo pochi per impostare un “tavolo di lavoro” credibile; quattro mesi sono un periodo più ragionevole. E c’è anche un valore simbolico: per la prima volta si accetta di chiedere che la tempistica, finora così rigidamente determinata, venga (sia pur leggermente) modificata.

 Basterà quest’offerta a indurre le forze che hanno sostenuto il no a sedersi all’evocato tavolo? Finora le voci prevalenti, e senz’altro quelle ufficiali, proseguono su una linea (nonostante le dichiarazioni di non contrarietà “in sé e per sé” a una fusione) di rigetto totale. Rigetto dei contenuti: anziché limitarsi a evidenziare gli aspetti problematici o lacunosi, che pur ci sono, del progetto esistente, questo viene sbrigativamente destituito di ogni valore; ogni analisi viene effettuata nello spirito non di proporre migliorie, anche radicali, ma semplicemente come “pars destruens”. Rigetto, soprattutto, dei tempi, che diventa di fatto rifiuto della fusione “tout court”: la richiesta, di per sé astrattamente non irragionevole, di rimandare il processo alla prossima legislatura, viene ad assumere con troppa facilità l’aspetto di una dilazione a tempo indeterminato, e anzi dell’assunzione di un progetto alternativo – il rafforzamento dell’attuale Unione dei Comuni – che peraltro non viene neppure sbozzato e resta un’idea del tutto indeterminata

Il fronte del “no” ha certo buon gioco a mettere il dito sull’esiguità e la problematicità della vittoria del “sì” – nonché sulle criticità di metodo che del resto non abbiamo mancato di rilevare a varie riprese -, ma si dimostra assai poco credibile nel momento in cui cerca di tramutarla in una sconfitta, e ancor più di gestirla come se fosse una vittoria propria.

L’insistere su una “linea dura” del “no”, scelta molto facile di fronte al trionfalismo del fronte opposto, diventa ora un’opzione più scivolosa nel momento in cui, almeno a parole, viene offerta una linea di dialogo ora anche supportata da qualche segnale concreto. Tantopiù che questo segnale sembra non essere puramente strumentale, ma essere anche la conseguenza della posizione piuttosto ferma espressa dal sindaco di Bazzano di farsi in qualche modo garante della volontà dei suoi concittadini, espressasi maggioritariamente per il “no”. (Stupisce, incidentalmente, che un’analoga posizione non venga presa dal sindaco di Savigno, che pure aveva sottoscritto l’impegno per una valutazione dell’esito del referendum sia nel complesso “sia nei singoli Comuni”. Negare gli elementi di problematicità rimane, per tutti, la soluzione meno credibile e proficua.) Del resto per le forze che sostengono il “sì” – dopo che, a dispetto dei pur generosi “comitati indipendenti”, non sono riuscite a scrollarsi di dosso l’etichetta di essere composte dal “PD contro tutti” – è necessario a questo punto evitare come la peste l’impressione che la vittoria referendaria sia, in fin dei conti, la vittoria di alcuni paesi contro gli altri.

Parliamo, insomma, di effettivi elementi di debolezza che tuttavia, una volta assunti consapevolmente, possono tramutarsi in una responsabile posizione di forza. Ma che – proprio in quanto oggettivi – dovrebbero al tempo stesso dare al fronte del “no” la garanzia che è interesse della controparte impegnarsi in un’interlocuzione seria.

Perché, beninteso, l’onere della prova di non agire strumentalmente ricade su entrambe le parti.

Una volta seduti a un tavolo ci si può sempre rialzare e denunciarne l’impraticabilità. Rifiutare reiteratamente l’invito, invece, può essere considerata dimostrazione di coerenza, ma anche ostinazione. L’anno scorso i sindaci e la segreteria PD hanno commesso un errore marchiano nel rifiutare le condizioni che le liste civiche avevano avanzato per sedersi ai famosi “tavoli di lavoro”, impedendo l’apertura di una discussione di merito e consentendo il compattamento di tutte le opposizioni sulle posizioni più radicali. Ma ora vale anche per il fronte del “no” la domanda di quale sia il vero obiettivo strategico: evitare a tutti i costi la fusione, come dichiarato, oppure – dando già per scontato questo esito – prepararsi nel modo migliore alle elezioni del Comune unico nel 2014, rimanendo compattati su posizioni massimalistiche e continuando a tener caldo il malcontento dei cittadini che hanno votato “no”? (La legge elettorale per i comuni sopra i 15.000 abitanti non obbliga neppure le varie opposizioni a presentarsi sotto un’unica lista: presentandosi separate, anzi, le singole forze politiche potranno prendere complessivamente più voti e costringere più facilmente PD e alleati al ballottaggio. Incidentalmente, che questo ragionamento coinvolga senza apparenti problemi anche forze politiche che a livello nazionale e regionale sono alleate al PD – e addirittura alleate al segretario del PD nelle ultime primarie! – è indice di una situazione locale da tempo sfuggita di mano a più di un attore.)

Certo, lo slogan degli ultimi giorni pre-referendum, “non cambiare Comune, cambia chi ti amministra”, era già sufficientemente eloquente del piano su cui si voleva portare la contesa. E quindi, tanto peggio, tanto meglio. Ma non è affatto detto che sia questa la priorità condivisa da tutti i cittadini che hanno votato “no”. Alcuni potrebbero chiedersi – tantopiù per chi dice di non essere contro “alla” fusione ma “a questa” fusione – perché rifiutare comunque un dialogo che, se pure non mette in discussione la fusione, potrebbe consentire di entrare nel merito del “come”. Perché non costringere, in fin dei conti, i sindaci a mostrare in che misura siano davvero pronti a rivedere – come dichiarato – il progetto. Perché non trasformare l’“energia potenziale” accumulata in potere contrattuale, senza rimandare il tutto al prossimo appuntamento elettorale – a mo’ di ordalia popolare – ma assumendosi una buona volta in prima persona la responsabilità di una trattativa politica. Considerata la volontà degli amministratori di avviare tavoli di che includano anche le variegate espressioni e categorie sociali e associative del territorio, le forze politiche che hanno sostenuto il “no” dovrebbero valutare il possibile rischio di una loro auto-emarginazione.

A questo punto, in ogni caso, occorre anzitutto che la Regione dia una risposta positiva e il più rapida possibile alla richiesta dei sindaci, che stanno affrontando sul territorio – non senza responsabilità da parte loro e del partito che li esprime – una situazione indubbiamente complessa.


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