Episcopalis communio: papa Francesco riforma il Sinodo dei vescovi

24 settembre 2018

Lunedì 17 settembre è stata pubblicata la nuova costituzione apostolica di papa Francesco sul Sinodo dei vescovi Episcopalis communio. Il documento è entrato in vigore al momento della pubblicazione, quindi sarà applicato, per quanto possibile, alle assemblee sinodali già convocate come quella imminente sui giovani e quella sull’Amazzonia.

Cos’è il Sinodo dei vescovi

Il Sinodo dei vescovi è una riunione di vescovi – prevalentemente nominati dalle conferenze episcopali di ogni nazione – convocata dal papa per trattare temi importanti della vita della Chiesa. Dopo la convocazione vi è una fase preparatoria, che dura parecchi mesi e nella quale vengono elaborati alcuni documenti di lavoro; segue la riunione vera e propria, della durata di qualche settimana. Per consuetudine avviene in ottobre. Un sinodo ordinario comprende più di 200 membri, più svariate decine di esperti e uditori (compresi alcuni rappresentanti di altre Chiese cristiane, detti “delegati fraterni”). Vi sono poi sinodi più ristretti (detti straordinari) e altri dedicati a una singola area geografica (detti speciali).

Il Sinodo dei vescovi è stato istituito da Paolo VI nel 1965 col motu proprio Apostolica sollicitudo, durante l’ultima fase del Concilio Vaticano II. Introdurre uno strumento di consultazione dei vescovi, seppure giocoforza ridotto rispetto a un concilio, pareva allora un modo per conservare e innestare permanentemente nella vita della Chiesa un elemento importante dell’esperienza conciliare.
Oggi il sinodo è un momento importante della vita della Chiesa, anche se è spesso criticato – oltre che per essere composto da soli vescovi – perché fortemente controllato dalla Curia, che redige i documenti preparatori su cui la discussione in assemblea spesso non riesce a incidere in modo sostanziale. Nel 2006, sotto il pontificato di Benedetto XVI venne emanato un regolamento che sostituiva i precedenti e introduceva alcune limitate riforme (per esempio riservando un certo spazio al libero confronto tra i membri).

Il seminario di studio del 2016

La costituzione apostolica di papa Francesco rivede complessivamente il funzionamento del Sinodo, pur conservandone gli elementi sostanziali. Per i dettagli, il documento rimanda a future istruzioni e regolamenti demandati alla Segreteria generale del sinodo (che è una sorta di comitato permanente a cui è demandata l’organizzazione delle assemblee).
Non mi pare sia stato ancora rimarcato che le principali novità ricalcano con notevole precisione le conclusioni di un seminario di studio organizzato dalla Segreteria generale del Sinodo nel febbraio del 2016, in cui già si adombrava l’idea di «una revisione della normativa sul Sinodo dei vescovi». Il breve comunicato riportato in questo link – che a sua volta si riferisce al discorso di papa Francesco per il 50° dell’istituzione del Sinodo – è denso e illuminante e andrebbe esaminato in dettaglio dagli studiosi. A sua volta, alcune delle innovazioni proposte dal comunicato del 2016 sono state tratte dall’esperienza dei sinodi sulla famiglia del 2014 e 2015.

Il proemio dottrinale: cenni di teologia del sinodo

Come si vede, il suggerimento di un «proemio dottrinale» è stato sostanzialmente seguito. L’introduzione della costituzione apostolica – non particolarmente ampia, ma molto più lunga rispetto al motu proprio di Paolo VI del 1965 – ha infatti un carattere prevalentemente storico e pastorale, ma al suo interno si possono rintracciare facilmente concetti teologici significativi.
Ciò vale prima di tutto per l’enunciazione iniziale per cui «La comunione episcopale (Episcopalis communio), con Pietro e sotto Pietro, si manifesta in modo peculiare nel Sinodo dei vescovi»: infatti – come è detto non molto più avanti – «la dimensione sovradiocesana del munus episcopale», se propriamente «si esercita in modo solenne nella veneranda istituzione del concilio ecumenico», tuttavia «si esprime pure nell’azione congiunta dei vescovi sparsi su tutta la terra, azione che sia indetta o liberamente recepita dal romano pontefice». Inoltre, si sottolinea che «il vescovo è contemporaneamente maestro e discepolo. Egli è maestro quando, dotato di una speciale assistenza dello Spirito Santo, annuncia ai fedeli la Parola di verità in nome di Cristo capo e pastore. Ma egli è anche discepolo quando, sapendo che lo Spirito è elargito a ogni battezzato, si pone in ascolto della voce di Cristo che parla attraverso l’intero popolo di Dio, rendendolo “infallibile in credendo”». Proprio in questo senso, «il Sinodo dei vescovi deve sempre più diventare uno strumento privilegiato di ascolto del popolo di Dio»: infatti, «benché nella sua composizione si configuri come un organismo essenzialmente episcopale, il Sinodo non vive pertanto separato dal resto dei fedeli. Esso, al contrario, è uno strumento adatto a dare voce all’intero Popolo di Dio proprio per mezzo dei vescovi»… «mostrandosi di assemblea in assemblea un’espressione eloquente della sinodalità come “dimensione costitutiva della Chiesa”».

La fase preparatoria: consultazione dei fedeli

In generale, i concetti espressi nella parte introduttiva servono a giustificare e contestualizzare quanto stabilito dalla parte dispositiva, in particolare le novità.

Tra esse, spicca sicuramente l’attenzione riservata alla consultazione dei fedeli, che viene definita come lo scopo della fase preparatoria del sinodo. Il risalto che viene dato a questa fase è fortemente innovativo. Si stabilisce che «la consultazione del popolo di Dio si svolge nelle Chiese particolari» (cioè nelle singole diocesi e quindi non solo a livello di conferenze episcopali), e anzi «in ciascuna Chiesa particolare i vescovi svolgono la consultazione del popolo di Dio avvalendosi degli organismi di partecipazione previsti dal diritto, senza escludere ogni altra modalità che essi giudichino opportuna» (nell’introduzione si afferma esplicitamente: «può rivelarsi fondamentale il contributo degli organismi di partecipazione della Chiesa particolare, specialmente il Consiglio presbiterale e il Consiglio pastorale»).
Per i religiosi, se prima era prevista la mera consultazione dell’Unione dei superiori generali, ora si precisa che «le unioni, le federazioni e le conferenze maschili e femminili degli istituti di vita consacrata e delle società di vita apostolica consultano i superiori maggiori, che a loro volta possono interpellare i propri consigli e anche altri membri». Si aggiunge inoltre che «anche le associazioni di fedeli riconosciute dalla Santa Sede consultano i loro membri». dei suddetti Istituti e Società. Ma «la Segreteria generale del sinodo può individuare pure altre forme di consultazione».
Viene altresì previsto il «coinvolgimento degli istituti di studi superiori». Infine, viene sancito che «rimane integro il diritto dei fedeli, singolarmente o associati, di inviare direttamente i loro contributi alla Segreteria generale del sinodo»: ad onta della terminologia usata, si tratta di una prassi invalsa con il sinodo sulla famiglia, ma precedentemente sconosciuta.

Il ruolo della Segreteria generale

Altra possibilità prefigurata dal percorso sinodale sulla famiglia – in cui l’assemblea del 2014 è stata legata a quella del 2015 in un unico processo – è quella per cui «l’assemblea del sinodo può essere celebrata in più periodi tra loro distinti». Qui spicca il ruolo della Segreteria generale (sia pur «insieme al relatore generale e al segretario speciale dell’assemblea») di «promuovere lo sviluppo della riflessione sul tema o su alcuni aspetti di particolare rilievo emersi dai lavori assembleari». Va nella stessa direzione la possibilità (già verificatasi per il Sinodo sui giovani) di «promuovere la convocazione di una riunione presinodale con la partecipazione di alcuni fedeli» designati dalla Segreteria stessa.
Il rafforzamento complessivo della Segreteria generale del sinodo, pure auspicato dal documento del 2016 che parlava della possibilità di «prospettare in certo modo il carattere permanente dell’organismo sinodale» (concetto peraltro già introdotto nel regolamento del 2006), avviene non solo introducendo la figura del sottosegretario e assicurando esplicitamente la presenza di «un congruo numero di officiali e di consultori», ma con l’affermazione che la Segreteria è «competente nella preparazione e nell’attuazione delle assemblee del sinodo, nonché nelle altre questioni che il romano pontefice vorrà sottoporle per il bene della Chiesa universale».

Le assemblee del sinodo

La composizione del sinodo e la fase celebrativa dello stesso rappresentano probabilmente l’aspetto meno innovativo della costituzione apostolica, eccezion fatta per l’importante previsione per cui «secondo il tema e le circostanze, possono essere chiamati all’Assemblea del Sinodo anche alcuni altri, che non siano insigniti del munus episcopale [cioè: non vescovi], il ruolo dei quali viene determinato di volta in volta dal romano pontefice». Era una possibilità non esclusa dal Codice di diritto canonico (che parla semplicemente di “maggioranza di vescovi”), ma di fatto non sfruttata se non per l’inserimento di alcuni religiosi. Bisogna inoltre notare che l’elezione dei membri non viene normata in modo particolareggiato: l’istruzione applicativa potrà quindi contenere elementi innovativi.
Per il resto, se il documento del 2016 proponeva «un maggiore ascolto e coinvolgimento dei fedeli che partecipano all’assemblea sinodale… valorizzando ulteriormente la presenza nelle assemblee sinodali degli esperti e degli uditori», Episcopalis communio non pare indicare a tale proposito nuove piste; andrà piuttosto notato che viene recepito dal regolamento del 2006, e dalla prassi invalsa dall’anno precedente, il momento di «libero scambio di opinioni tra i membri».
Viene però rilevata l’importanza della dimensione liturgica nel sinodo stesso («È … necessario che, nel corso dei lavori sinodali, ricevano particolare risalto le celebrazioni liturgiche e le altre forme di preghiera corale, per invocare sui membri dell’Assemblea il dono del discernimento e della concordia. È altresì opportuno che, secondo l’antica tradizione sinodale, il libro dei vangeli sia solennemente intronizzato all’inizio di ogni giornata, rammentando anche simbolicamente a tutti i partecipanti la necessità di rendersi docili alla Parola divina, che è “Parola di verità” [Col 1, 5]»): una sottolineatura che andrebbe confrontata a quanto papa Francesco ha sovente rimarcato descrivendo l’esperienza della Conferenza dell’episcopato latinoamericano ad Aparecida.

La fase attuativa

È invece profondamente innovativo il fatto che la «fase attuativa» del sinodo, cioè l’«accoglienza e l’attuazione delle conclusioni dell’assemblea», sia considerata – così auspicava il documento del 2016 – «un momento interno al processo sinodale»: essa è demandata primariamente ai vescovi (anche qui è previsto «l’aiuto degli organismi di partecipazione previsti dal diritto») e coordinata dalle conferenze episcopali, che possono «predisporre iniziative comuni». È però prevista anche un’azione da parte della Segreteria generale – di concerto col dicastero vaticano pertinente –, che può costituire a tale scopo una commissione di esperti, predisporre studi e altre iniziative, ma anche, «con il mandato del romano pontefice, … emanare documenti applicativi, sentito il dicastero competente».

Il documento finale

Quest’ultima novità si lega all’altro elemento di particolare importanza introdotto da Episcopalis communio e giustamente rimarcato dai commentatori: cioè lo status del documento finale dell’assemblea.
Occorre ricordare che, fino al 2005, l’unico documento del sinodo che veniva pubblicato era il messaggio dei padri sinodali, generalmente un breve documento di carattere esortativo e di scarsa rilevanza dottrinale e pastorale.  L’assemblea sfociava sì in un «elenco finale delle proposizioni» formulate – in latino –, votate dai padri sinodali al termine del sinodo e «presentate alla considerazione del sommo pontefice»; ma tali proposizioni non erano di pubblico dominio. L’unico esito pubblico e ufficiale del sinodo era pertanto il documento post-sinodale emanato direttamente dal papa, normalmente uno-due anni dopo. La dialettica interna al sinodo e tra il sinodo e il documento papale rimaneva quindi completamente occultata.
Benedetto XVI fin dal 2005 autorizzò invece la pubblicazione delle proposizioni (seppure in «una versione in lingua italiana, provvisoria, ufficiosa e non ufficiale»), consuetudine da allora invalsa. Al sinodo del 2014 vi fu un’ulteriore importante innovazione: anzitutto, l’elenco delle proposizioni venne sostituito da una «relazione del sinodo»; questo non solo fu pubblicato, ma vennero anche riportati i voti ottenuti dai singoli paragrafi. Il fatto è tantopiù rilevante perché quella relazione venne poi a costituire il documento preliminare per il sinodo del 2015. Anche nel 2015 la relazione finale venne pubblicata con i voti ottenuti dai singoli punti.

La nuova costituzione apostolica prevede invece che «se approvato espressamente dal romano pontefice, il documento finale partecipa del magistero ordinario del successore di Pietro». Inoltre «qualora poi il romano pontefice abbia concesso all’Assemblea del sinodo potestà deliberativa, a norma del can. 343 del Codice di diritto canonico, il documento finale partecipa del magistero ordinario del successore di Pietro una volta da lui ratificato e promulgato. In questo caso il documento finale viene pubblicato con la firma del romano pontefice insieme a quella dei membri». Occorre ricordare che la possibile potestà deliberativa dell’assemblea sinodale era già stata indicata nell’Apostolica sollicitudo di Paolo VI, ma non era mai stata applicata. Ora, comunque, si stabilisce che, sia pure a seguito dell’approvazione del papa, oppure della ratifica e promulgazione da parte dello stesso, il documento finale del sinodo gode di per sé dell’autorità di un documento papale. Ciò conferisce, com’è evidente, una dignità precipua al percorso sinodale: certo senza impedire in alcun modo al papa di pubblicare un proprio documento che ne recepisca il frutto (anzi, ciò si renderà probabilmente necessario qualora si tratti di introdurre innovazioni giuridiche specifiche), ma conferendo al Sinodo – cum Petro et sub Petro – la pienezza di quel valore che era affermato fin dalla sua origine, nel seno stesso del concilio Vaticano II.

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La prima riforma di papa Francesco

17 aprile 2013

Dal “consiglio degli otto” nominato dal papa può nascere un cambiamento della Chiesa nel segno della collegialità conciliare. La sola ipotesi che la riforma della Curia sia promulgata il 4 ottobre, festa di San Francesco, ne lascia intendere il valore epocale.

Sabato 13 aprile il Bollettino della Sala stampa della Santa Sede ha annunciato che papa Francesco “ha costituito un gruppo di cardinali per consigliarlo nel governo della Chiesa universale e per studiare un progetto di revisione della costituzione apostolica Pastor bonus sulla Curia romana”.
L’annuncio avviene mediante un comunicato della Segreteria di Stato, e proprio il giorno dopo che il papa aveva visitato gli uffici e i dipendenti della Segreteria. Delicatezze formali – confermate dall’understatement mostrato dal portavoce della Santa Sede, padre Lombardi, nel commentare l’annuncio – che indicano, anziché nascondere, il punto cruciale: il papa intende lavorare immediatamente a una riforma della Curia mediante uno snello gruppo di lavoro completamente distinto dalla Curia stessa. Ma il compito dei nominati non si limita a questo, anzi è in primo luogo una funzione di “consiglio nel governo della Chiesa universale” che sembra alludere in modo trasparente a un organismo permanente, del tutto nuovo: la riforma non è unicamente annunciata, ma inizia già.
La data, a un mese esatto dall’elezione, non è casuale: indica una cadenza ravvicinata ma al tempo stesso ragionata, stabilita con pacata decisione.

L’articolo continua qui, su BoDem.


Ancora sulla rinuncia di Benedetto XVI

6 marzo 2013

Ieri è stato pubblicato su BODEM, la nuova rivista online diretta da Salvatore Vassallo, un mio articolo sulla rinuncia di Benedetto XVI al pontificato: lo trovate qui.
Ovviamente vi consiglio la lettura dell’intera rivista e vi segnalo fin d’ora l’assemblea di BODEM aperta al pubblico sabato 16 marzo a Ca’ La Ghironda (Zola Predosa), dalle 10 alle 13.


Quello sgambetto a Dossetti, anzi al Concilio

8 gennaio 2013

Molti cattolici bolognesi hanno letto la lettera del card. Re al card. Biffi – diffusa da quest’ultimo sicuramente con l’approvazione del primo – in cui venivano confermati i giudizi espressi nell’ultimo libro di Biffi su don Dossetti, in particolare sulla sua attività al concilio Vaticano II. La pubblicazione di quella lettera ha suscitato parecchie reazioni e, infine, un’esplicita scusa da parte dell’organo di stampa che l’aveva pubblicata (pronosticandone anche – redazionalmente – una grande importanza nel dibattito storico); e anche la stampa “laica” locale ha finito per occuparsi della questione, seppur con prevedibili semplificazioni.
Sbaglierebbe di grosso chi riconducesse la vicenda a una questione curiale tutta bolognese, magari riducendola a un’iniziativa personale o inserendola semplicemente in una storia – che pur si potrebbe scrivere – di nobili schermaglie o miseri dispetti tra vecchie conventicole locali di varia estrazione. Sbaglierebbe ancor più chi, magari per riflesso condizionato, ne volesse dare un’interpretazione politica, come se in discussione ci fosse il Dossetti politico e magari gli attuali raggruppamenti del cattolicesimo politico, specie bolognese, che a lui maggiormente e più o meno giustificatamente si riconducono. E sarebbe triste che per questa via dalle nostre parti qualcuno ne traesse una certa soddisfazione. Non solo per quel tanto di pettegolo che inevitabilmente ne trasudi; e neanche solo per il fatto che perseverare in una lettura prevalentemente politica della parabola di Dossetti rimane, a mio parere, sintomo di una miopia tantomeno perdonabile in campo cattolico.
La lettura sarebbe errata soprattutto perché, in questa vicenda, se è bolognese la casella che – volente o nolente, e più o meno consapevole – ha ospitato la mossa, la partita è squisitamente romana e, s’intende, squisitamente ecclesiale. E Dossetti ne è l’obiettivo solo apparente. Squalificando l’azione di Dossetti durante i lavori il concilio Vaticano II, fino a definirlo come “usurpatore” – un termine di singolare precisione – delle prerogative istituzionali del card. Felici, si insinua un dubbio di legittimità, sostanziale se non addirittura formale, su quei lavori stessi, e sui documenti che ne sono il duraturo frutto.
Il 2012 non è “solo” il centenario della nascita di Dossetti: è soprattutto il 50° dell’apertura del Concilio, uno dei motivi dell’indizione dell’Anno della fede. E proprio in questa occasione, in cui la ricorrenza sta riportando l’attenzione, con vigore forse inatteso, sull’evento del Concilio, sui suoi documenti e sul suo significato; proprio mentre dal papa stesso giunge il ripetuto invito a tornare alla “lettera” del Concilio studiandone i documenti e approfondendone il significato con l’applicazione di una corretta ermeneutica, ecco che proprio il testo conciliare viene messo nei fatti in discussione. Da un lato Benedetto XVI conferma la fiducia nel Concilio e ne propugna – come dall’inizio del suo pontificato –  un’interpretazione che inserisca “la riforma” da esso operata contestualizzandola “nella continuità” rispetto al magistero precedente, così da fare giustizia di quelle che vede come possibili deviazioni, per esempio in senso progressista. Dall’altro, nel seno stesso della Chiesa, come malfidando nell’operazione papale o presupponendone insufficienti gli esiti, si viene ad attaccare il Concilio stesso, delegittimandone – con singolare precisione di mira – un punto nevralgico, ossia il suo stesso meccanismo deliberativo. Il fatto che tale operazione – stando a quel che si legge – venga condotta nella Positio della causa di beatificazione di Paolo VI (ma su questo avremmo bisogno di leggere qualcosa di più che un vago accenno) – vi getta una luce ancor più inquietante, dal momento che proprio le deliberazioni conciliari approvate e suggellate da quel papa sarebbero soggette a questa sorta di sussurrata invalidazione.
Ulteriori considerazioni si potrebbero formulare: non da ultimo, che il denunciare il carattere presuntamente “politico” di una decisione ecclesiale (ma perché non applicare lo stesso criterio ad altri atti di giurisdizione e di governo?) contraddice in nuce la logica divino-umana dell’incarnazione che alla Chiesa stessa presiede. Ma basti qui notare che questo tipo di argomentazione che, con l’apparenza di difendere quanto nella Chiesa vi è di più sacro, invece la svuota e l’indebolisce internamente come un cancro, era finora – e segnatamente nella sua applicazione al Vaticano II – patrimonio di frange ultra-tradizionaliste ad elevato sospetto di non-cattolicità. Questo suo rinvenimento mostra la permeabilità, rispetto a talune tendenze, di argini che, pur all’interno di un dibattito vivace come quello sull’ermeneutica del Concilio, si credevano ben solidi. Non è solo la pronta risoluzione del pur doloroso episodio “bolognese”, naturalmente, a convincere che non praevalebunt.


Riscoprire Dossetti. Un po’ per caso

19 giugno 2012

Aggiornamento: Questa sera alle ore 21 alla libreria CARTA|BIANCA (v. Borgo Romano 12 – Bazzano) verrà presentato SULLE TRACCE DI DOSSETTI – piccola storia di una comunità” – progetto per un film documentario, a cura di Giorgia Boldrini, Giulio Filippo Giunti e Stefano Massari, con la collaborazione di Costanza Baldini. “Un ritratto in movimento di persone e paesaggi, di ricordi e valori da conservare e tramandare”.

(Per informazioni: libreria@cartabianca.name; info@cartabianca.name; sulletraccedidossetti@gmail.com)

Fabrizio Mandreoli, Giuseppe Dossetti, Il Margine, Trento 2012.

Questa biografia di Dossetti mi è praticamente piovuta in mano per caso: ero entrato alla libreria Ambasciatori per comprare altro e mi sono trovato nel bel mezzo della presentazione. C’era un po’ di gente, qualche faccia conosciuta, parecchi capelli bianchi. Fatto sta che le notizie che girano nell’ambiente dossettiano – di solito mediante qualche artigianale mailing list – un po’ le vengo a sapere, di solito. Stavolta no (ho visto poi che la presentazione era stata annunciata nel sito delle Famiglie della Visitazione). E dico subito che invece questa biografia, agile e snella, sarebbe da leggere.
Ci sarebbe da riflettere, peraltro, su questa natura estremamente schiva di chi è più vicino alla comunità monastica fondata da Dossetti: tantopiù quando si parla del fondatore, oltre che della comunità stessa. Un atteggiamento così diverso da molte altre realtà religiose, grandi e piccole, sempre pronte – s’intende ad maiorem Dei gloriam – a celebrare il detentore dell’intuizione o del carisma originario. Per quel che ne so, la Piccola Famiglia dell’Annunziata non si oppone al ricordo di Dossetti o agli studi, alle rievocazioni, alle pubblicazioni (come dimenticare il convegno dell’anno scorso a Monteveglio, da cui anche questa biografia trae, se non origine, beneficio) e anzi, di solito, partecipa e collabora cordialmente: ma non prende mai l’iniziativa e nulla fa per stimolare l’iniziativa altrui. Un atteggiamento teologicamente ben meditato e fondato, che non va certo scambiato per superficiale ritrosia. Ma ci sarebbe da chiedersi quali siano le sue conseguenze sull’immagine pubblica che di Dossetti finisce, in ogni caso, per circolare.
Senz’altro una prevalenza del Dossetti politico: sia nel periodo della Resistenza degli albori della repubblica, sia nella parentesi della candidatura a sindaco di Bologna, sia nell’impegno degli ultimi anni per la difesa della Costituzione. E una conseguente carenza di attenzione sulla realtà ininterrottamente vissuta da Dossetti per oltre quarant’anni – e ininterrottamente negli ultimi ventotto: la vita monastica, nella fattispecie la Piccola Famiglia dell’Annunziata.
Ci sono altre fasi della vita di Dossetti che in generale vengono trattate con grande rapidità: l’infanzia e la gioventù, per esempio, o la partecipazione alla Resistenza. Può essere dovuto a carenza di informazioni o a un eccesso di riserbo, ma anche alla convinzione che si tratti di aspetti e momenti tutto sommato secondari: convinzione, quest’ultima, soggetta al rischio di essere improduttivamente pregiudiziale.

Uno dei tratti più innovativi della biografia di Mandreoli è proprio la capacità di delineare bene – pur nella sintesi – il percorso esistenziale di Dossetti negli “anni della formazione” – che sostanzialmente coincidono col periodo del fascismo, in particolare con gli anni ’30 e i primi anni della guerra: riuscendo a dar conto, in maniera piuttosto inedita, della sua “progressiva determinazione interiore nella … scelta di consacrazione a Dio”, ma anche della presa di coscienza del fatto che la Chiesa “ha mancato gravemente nel suo compito di discernimento storico e profetico” di fronte al fascismo. In tal modo anche l’analisi del suo successivo ritiro dalla politica e della sua decisione di dedicarsi alla vita monastica di studio e contemplazione della parola di Dio acquista senz’altro miglior luce e maggiore spessore.
Particolarmente prezioso il modo con cui Mandreoli individua la cifra del tutto singolare – a dir poco – mediante cui Dossetti rilegge l’“obbedienza” consistente nella sua candidatura a sindaco di Bologna, richiestagli da Lercaro nel ’56: “a quell’atto di obbedienza si deve la nascita della Famiglia e tutte le grazie che sono venute dopo. Fu tremendo. Veramente lo sentii come un disonore. Mi tagliava la faccia … Una cosa è certa: che essa ha fatto piazza pulita di ogni mio possesso, mi ha strappato all’università, al Centro [di documentazione], alle mie velleità di ricerca, a qualunque altra ambizione umana, per ridurmi al lastrico e darmi così alla Famiglia. Ho sentito che quella è stata una grazia immensa, una grazia di fuoco … una morte civile, che poi ho portato con me ovunque e in tutto come un marchio indelebile”. E ancora una volta l’approdo che Dossetti sente come esito provvidenziale è proprio la Piccola Famiglia.

Mandreoli ha il merito di riportare, nella sua rilevanza, l’affermazione di Giuseppe Trotta su Dossetti monaco: “In questa sua vicenda, forse la meno conosciuta e la più nascosta, c’è la sua eredità più grande. La convinzione che quel che ci ‘sarà’ di Dossetti è affidato a questo scavo, all’approfondimento della sua vicenda ‘monastica’ che propone problemi sconvolgenti, itinerari imprevisti, un coraggio cristiano che ci resta ancora tutto da scoprire”. Non riesce tuttavia – beninteso consapevolmente – a svolgere il tema. Le pagine di Mandreoli progressivamente sembrano sobbarcarsi il compito –  utile e ben svolto – di rappresentare una “storia delle idee” di Dossetti, dalla fase del Concilio in poi, assumendo maggiormente una scansione “per temi”: ma troppo sinteticamente rendono conto delle vicende di Dossetti e della comunità negli anni dal 1968 al 1986, con i viaggi e le fondazioni in Medio Oriente (corre quindi l’obbligo di rinviare immediatamente al bellissimo volume delle Lettere alla comunità, oltre a quello che raggruppa La Regola e i testi fondativi, nella meritoria collana delle Paoline). Ciò è ancor più vero per il decennio che inizia con l’insediamento a Monte Sole: evento che segna – insieme all’inquadramento canonico della comunità – una vera “fase 2” (o forse 3) della vita della Piccola Famiglia. E il rischio è che la comunità appaia solo la sede e il contesto di ciò che Dossetti fa – “in parole e opere”– in quel periodo, anziché il centro, sotto Cristo e per Cristo, di quei suoi ultimi dieci anni di vita: il centro in senso pratico ed esistenziale oltre che teologico. Nuove pagine che diano ancora maggior luce a quest’ultimo potrebbero far godere a una più vasta assemblea il frutto di quel tempo di nascondimento, approfondimento e maturazione, di inesausta concentrazione sul Verbo; e al tempo stesso di vita concreta – complessa e sofferta pur nell’aspirazione alla massima semplicità – della famiglia monastica nella sua configurazione assolutamente originale e peraltro fortunata. Il convegno tenutosi pochi giorni fa a San Domenico è sicuramente un passo promettente in questa direzione.
Mi sono soffermato su questa che appare una lacuna, proprio perché merito particolare di Mandreoli è aver saputo cogliere – non solo al livello delle idee, ma a quello dell’esistenza concreta – illuminanti collegamenti e snodi in una vita tutt’altro facile da descrivere come quella di Dossetti.
L’opera è assolutamente pregevole e degna di diffusione e di conoscenza: ottima per chi non conosce Giuseppe Dossetti, eccellente per chi crede di conoscerlo. “Amici” o “nemici” che siano – o che pensino di essere. Nella speranza che colui che finora è stato segno potente di contraddizione nella Chiesa divenga un giorno, al di là dei clichés opposti e magari convergenti, segno di comunione per una Chiesa finalmente pacificata.
Sentinella, quanto resta della notte? Sentinella, quanto resta della notte?” La sentinella risponde: “Viene il mattino, poi anche la notte; se volete domandare, domandate, convertitevi, venite!” (Is 21,11s).


Il Sinodo dei vescovi è una figata

15 ottobre 2010

Domenica è iniziato il Sinodo dei vescovi sul Medio Oriente. Avrei voluto seguirlo scrivendo qualcosa anche qui, ma proprio non ce la faccio.  Allora do giusto qualche dritta. cercando di incuriosire qualche lettore.

Intanto, cos’è il Sinodo dei vescovi? E’ un’assemblea di rappresentanti dei vescovi cattolici: “un luogo per l’incontro dei vescovi tra di loro”, insieme al papa, “per lo scambio di informazioni ed esperienze, per la comune ricerca di soluzioni pastorali”. Si rifà all’antica tradizione sinodale della Chiesa, ma è una novità del Concilio Vaticano II, anzi è nato proprio col desiderio di “mantenere vivo l’autentico spirito formatosi dall’esperienza conciliare”. Qui potete leggere qualcosa in più sulla sua nascita.

Come funziona? I vescovi di tutto il mondo, o di una particolare regione, mandano i loro rappresentanti a Roma, che discutono per alcune settimane su un determinato argomento, o sulla situazione della Chiesa in quella regione.
E’ un grande organo consultivo: non decide nulla, ma formula delle “Proposizioni” (che sono al tempo stesso delle “frasi” e delle “proposte”) che vengono inviate al papa. Il papa si prende del tempo per ragionarci sopra e in uno o due anni – naturalmente con l’aiuto dei vari organi di Curia – scrive un'”Esortazione apostolica post-sinodale”, cioè un documento – che porta la sua firma – e che raccoglie e rielabora quanto da quelle “Proposizioni” è stato recepito.

Fino a pochi anni fa le “Proposizioni” venivano tenute rigorosamente segrete: Benedetto XVI ha deciso che fossero pubblicate (qui vedete per esempio quelle dell’ultimo sinodo concluso, quello sull’Africa).
E’ solo una delle innovazioni introdotte da papa Ratzinger nel Sinodo: per esempio, è stata ridotta leggermente la durata dei lavori ma sono stati introdotti momenti di libero dialogo tra i componenti, per non rinviare tutta la discussione ai soli “circoli minori” (una sorta di gruppi di lavoro). Qui potete leggere l’attuale Regolamento del Sinodo, approvato nel 2006. Benedetto XVI inoltre (a differenza di Giovanni Paolo II) ha iniziato a fare interventi personali nel corso della discussione.

Mentre i “padri sinodali” sono tutti vescovi, sono invitati anche degli “auditori” – una sorta di esperti – che possono essere anche preti, religiosi o laici (donne comprese). Esistono poi i “delegati fraterni“, dei veri e propri “inviati” di comunità cristiane non cattoliche (nel Sinodo del 2008 fece scalpore la presenza del patriarca di Costantinopoli Bartolomeo I, il primate della Chiesa ortodossa). Tutti costoro possono fare, e fanno, interventi in aula.

Il bello del Sinodo dei vescovi è che lo si può seguire molto da vicino: non proprio in diretta ma quasi. Non siamo abituati a una simile trasparenza per le istituzioni della Chiesa.
Il “Bollettino del Sinodo dei vescovi” (Synodus Episcoporum Bollettino)  viene pubblicato almeno una-due volte al giorno, anche sul sito del Vaticano. Possiamo leggere (per riassunti significativi) tutti quanti gli interventi, già tradotti in italiano, a mezza giornata di distanza circa. Per esempio, ecco la trascrizione degli interventi di ieri pomeriggio (giovedì).

Insomma, questo Sinodo è una grande occasione per ascoltare direttamente la viva voce dei cristiani delle Chiese del Medio Oriente. Leggendo si scopre facilmente che i padri sinodali parlano con franchezza: analizzano in modo solitamente lucido e disincantato la situazione della loro Chiesa e della società del luogo, senza rinunciare a mettere il dito nella piaga; spesso non risparmiano critiche ai documenti preparatori o a cose che – anche nell’organizzazione ecclesiale – non vanno, suggerendo soluzioni e riforme anche coraggiose.

Tra i temi scottanti di questo Sinodo il rapporto coi musulmani, l’emigrazione dei cristiani e le sue conseguenze, il rischio della frammentazione e scarsa collaborazione tra le Chiese cattoliche di diverso rito, i rapporti con Roma e con la Chiesa latina… Si può quindi comporre un quadro molto ricco e frastagliato di situazioni e di esperienze che normalmente non sono sotto l’attenzione dei media e spesso vengono trascurate anche dai cattolici “occidentali”.

UNA SEGNALAZIONE: nel contesto del Sinodo, domenica in parrocchia a Bazzano incontreremo Maria Chiara Rioli, reduce da un’esperienza di circa un anno in Israele e Palestina che le ha consentito di venire a contatto con molte realtà significative della regione.
Maria Chiara è dottoranda alla Normale di Pisa, collabora con Il Regno e diverse altre testate; nel 2009 ha vinto il Premio Toniolo Diritto Internazionale per la Pace. Si occupa d’informazione sociale e dal Sud del mondo, delle relazioni tra religioni e società.
L’appuntamento è per le 15 nel salone parrocchiale.


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