Senato: due parole (da profano) sulla controproposta della minoranza PD

3 aprile 2014

L’Espresso pubblica il testo della contro-proposta di riforma del Senato elaborata da venti senatori riconducibili alla minoranza (meglio, alle minoranze) del PD.
Qui di seguito una mia analisi che riassumo così: al di là di ogni considerazione di opportunità, la proposta mi sembra al tempo stesso contraddittoria nell’impianto e poco significativa rispetto a quella proposta dal governo.

L’unico scopo della proposta è mantenere un senato elettivo: 100 eletti, che però avrebbero molte meno funzioni degli attuali. Sicuri che QUESTO non sarà uno spreco? Infatti, chi critica la proposta del governo perché prevede che gran parte dei senatori sarebbero sindaci, presidenti di regione e consiglieri regionali con poco tempo a disposizione, sembra dimenticare (al di là che per esempio è discutibile che il compito di consigliere regionale “semplice” lasci l’eletto del tutto privo di tempo da utilizzare), che questi dovrebbero prestare parte del loro tempo per un Senato che però “fa molte meno cose”, e quindi richiede molto meno tempo, di quello attuale. Senza contare che il Senato proposto dal governo sarebbe un luogo deputato ai rapporti tra Stato centrale e autonomie regionali e municipali, che già oggi richiedono molto tempo alle Regioni e ai Comuni. Insieme alla riforma del Senato, va ricordato, ci sarebbe anche quella del titolo V della Costituzione, che dovrebbe portare un’ulteriore, notevole semplificazione in questo senso. I 100 senatori contenuti in questa proposta, invece, sarebbero esclusivamente rivolti all’esercizio delle relativamente poche funzioni previste.

Infatti, le prerogative di questo Senato sarebbero molto simili a quelle della proposta del governo: quest’ultima già prevede che il Senato continui a dover approvare le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali (svolgendo quindi una funzione di garanzia sul mantenimento dell’assetto istituzionale, quella che molti invece paventano venga meno).

Al tempo stesso, in questa proposta si dimezza il numero dei deputati: cosa che potrà far piacere ad alcuni, ma piuttosto curiosa per chi dice di avere a cuore la rappresentanza, che viene invece ulteriormente compressa (315 deputati + 100 senatori = 415 parlamentari, mentre la riforma proposta dal governo mantiene i 630 parlamentari). E se i promotori garantiscono che questa proposta sarà votata più volentieri dai senatori, sicuri che invece non finirà per non piacere affatto ai deputati, e via di rimpallo e scaricabarile?

In questa proposta rimane la diversa soglia di età necessaria per essere elettori delle due camere, ma al tempo stesso lo scarto viene ridotto a pochissimo (per eleggere i senatori basterebbero 21 anni rispetto agli attuali 25, contro i 18 per eleggere la camera) quindi due basi elettorali diverse MA quasi uguali (poveri scrutatori, fra l’altro): non era meglio conservare gli attuali 18/25 o al contrario uniformare del tutto?).

Buona cosa introdurre il principio dell’equilibrio di genere: ma nella proposta è formulato in modo del tutto generico, così che potrebbe già tranquillamente essere considerato recepito nella legge vigente: quindi nessun vero avanzamento anche da questo punto di vista.

 I senatori di nomina presidenziale, che probabilmente sono in numero eccessivo nella proposta del governo (che peraltro prevede una loro nomina per 7 anni anziché a vita come oggi), verrebbero del tutto eliminati: secondo me basterebbe ridurli di numero, senza rinunciare completamente a questa possibilità. (ricordo che nella proposta del governo anche tali figure sarebbero prive di indennità). In compenso, serve davvero introdurre (come vuole questa proposta) dei senatori in rappresentanza degli italiani all’estero?

Se il tema era quello di un Senato che avesse una funzione di garanzia presupposta necessaria in un ordinamento monocamerale, mi sembra – lo dico da profano – che sia stato svolto piuttosto male, e che questa bozza, a prescindere da ogni altra considerazione, sia alquanto più maldestra di quella, pur perfettibile, proposta dal governo.

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Il PD, qui, adesso. Voci dalla rete

23 Maggio 2012

Stavolta nessuna “parola mia”. Sulle ultime elezioni amministrative, e su quel che c’è da fare, riporto solo un po’ di impressioni – più o meno “autorevoli”, per quel che conta -, naturalmente con un occhio particolare all’Emilia-Romagna, ma non solo.

Partirei dall’ottimo riassunto di Luca Sofri, secondo cui «Tra il PD “istituzionale” e quello sovversivo, vince il secondo» (poi Sofri dice anche qualcos’altro, qui. Un monito per tutti, specie per noi in Emilia-Romagna. Dice cose simili anche Giuseppe Civati: “Il Pd dove si apre alla partecipazione ed esprime un profilo di governo, serio e competente sotto il profilo amministrativo, in queste condizioni non ha rivali. Quando sa interloquire con il civismo e con la spinta che proviene dal basso, in questo momento, è letteralmente imbattibile.
Speriamo sappia far tesoro, però, di quella che è prima di tutto un’opportunità che si apre, non una partita che si chiude”.
Civati offre poi (qui) un’ottima analisi di com’è andata la vittoria in Lombardia – in cui ha avuto qualche parte. E dice anche alcune cose piuttosto energiche, qui. Un’analisi notevole, in particolare del successo del Movimento Cinque Stelle al Nord, è anche quella del bravo Stefano Catone, qui. Mentre un commentatore ricorda che «Alle politiche del 2008, nel solo Comune di Parma, il PD ha preso 47.153 voti, contro i 28.498 (di lista) delle regionali 2010 e i 17.472 (di lista) di queste comunali».

Anche Debora Serracchiani dice chiaro e tondo che «il risultato di Parma… offusca ogni altra vittoria del Pd. … Se la credibilità di una leadership politica si rivela nel percepire e nell’accompagnare i mutamenti e i bisogni della società, per Bersani questo è il momento di dimostrare che il Pd è all’altezza delle vittorie e impara sul serio dalle sconfitte. Dopo Parma, il motto “rinnovarsi o morire” non è una critica alla segreteria ma una proposta concreta» (qui l’intero – breve – post).

Un tema che svolge con nettezza anche il nostro vicino di casa, Loris Marchesini, da Anzola: abbiamo vinto, sì, ma «con molti “se” e molti “ma”»: «abbiamo vinto perché si sta chiudendo nel modo peggiore per loro la stagione del centro-destra… abbiamo vinto dove abbiamo saputo esprimere il meglio delle candidature attraverso le primarie, abbiamo perso dove non le abbiamo sapute gestire ed abbiamo presentato candidature usurate (Parma) o rampanti (Palermo)…  abbiamo ancora una estrema lentezza, fino all’arroganza, nel procedere nel cambiamento necessario, nel virare il timone nella direzione giusta». Il resto qui.

Anche il segretario del PD di Bologna Raffaele Donini dice che «O si cambia, o si muore», anche se nella sua intervista di oggi (qui) sembra proiettare questa necessità di cambiamento più su Roma che sul nostro territorio.

Ma l’intervento più inquietante sulle possibilità di cambiamento nel PD è quello di Paolo Cosseddu: “E’ la regola dell’hully gully: se prima eravamo in dieci a ballare l’hully gully, adesso siamo in nove a ballare l’hully gully. Di cui otto dalemiani, però“.  Premunitevi contro la depressione, ma leggetelo assolutamente fino in fondo: qui.

Spostandoci di poco, dice parole brusche – beneficamente scomode – anche Francesco Costanzini da Sasso Marconi: «Caro PD, impara a gestire il dissenso, impara a non pilotare le scelte della gente e a fare primarie vere in ogni luogo. Non ha senso giocare a screditare l’avversario, piuttosto non permettere ad altri di cavalcare quelle che dovrebbero essere le tue battaglie ma che forse sono sopite chissà dove. Il consenso storico finirà, è destinato anagraficamente ad esaurirsi, pertanto è bene tornare a far politica con le passioni dei tempi che furono, tra la gente, con la gente, dal basso. Con trasparenza.
La credibilità la si ottiene agendo in modo democratico in ogni sede, senza collusioni col Potere. La coerenza in tutto ciò che si fa è una carta al tornasole, non si può pensare di proporsi come novità se la gente è la stessa, se le voci fuori dal coro vengono isolate, se non si pratica la democrazia dal basso, se non si rinuncia ai privilegi, se si lotta per le stesse poltrone da decenni.
La gente ha bisogno di tornare alla vera politica, a quel sistema che faceva sognare e che permetteva di amministrare la cosa pubblica in modo onesto, trasparente e per il bene comune. Berlusconi ce lo siamo “meritati”, ora il Paese ha bisogno di rigore da parte di tutti, chi è in Parlamento per primo deve dimostrare equità e di lavorare per la gente, per i lavoratori difendendo i diritti e aiutando i deboli anche rinunciando ai propri iniqui privilegi.
Bisogna imparare a considerare l’avversario in modo più sereno, bisogna imparare a leggere le sconfitte ed imparare dagli errori. Ci vuole un’assunzione di responsabilità, non processi pubblici ma essere capaci di avere coraggio e mettersi da parte quando si capisce di aver sbagliato! Solo così si conquistano le persone e si vincono le elezioni e si ben governa. Altrimenti si resta al palo sino a quando ci si riuscirà, prima di essere spazzati via e col tempo… sparire!»

Una riflessione molto originale e personale è quella di Roberto Balzani, sindaco di Forlì: «La lezione di Parma, pur al netto di tutte le complesse variabili locali, che non e’ sempre facile decifrare per esterni al contesto, e’ chiara: per una quota importante di elettorato, il ceto politico e’ un’oligarchia impermeabile e senza colore, assolutamente intercambiabile. E per questo solo fatto – che si tratti di governo o di opposizione “tradizionali” – da rifiutare in blocco. Ma sarebbe un errore pensare a un po’ di maquillage della comunicazione per ristabilire il contatto: il problema e’ più radicale e profondo e, a mio modesto avviso, riguarda in primo luogo le motivazioni per cui ciascun amministratore sceglie di fare politica. Cosa mette sul piatto? Cosa sacrifica, di se’ e della sua vita, per essere credibile (questione prioritaria rispetto ai risultati, che sono ovviamente interpolati da infinite casualità)? La selezione – anche nei partiti “tradizionali” – non può eludere questo nodo esistenziale: altrimenti cadiamo nella solita retorica dei valori e dei buoni proposti. Dei quali la gente e’ giustamente stufa. Cosa perdi per esporti tutti i giorni al giudizio dei tuoi concittadini? Su questo terreno si misura il tuo coraggio, la tua volontà di connettere pensiero e azione, infine la tua libertà

Da Lugo, Serena Fagnocchi ammonisce: «I voti non sono di proprietà dei partiti.  I cittadini votano le persone non i partiti. I candidati devono essere seri, credibili e nuovi. E se qualcuno pensa che il vuoto politico lasciato dall’astensione enorme non verrà colmato in un anno, e che basterà tenere la rotta con pochi aggiustamenti, assisterà alla riedizione della “gioiosa macchina da guerra”, temo (tanto ad essere chiamata Cassandra, rompicoglioni e inesperta ci sono abituata)».

Lascerei la parola riassuntiva al consigliere regionale PD Thomas Casadei: «Assai preoccupante il crollo della partecipazione; crollano Lega e PDL – ovvero chi ha dominato la scena nella “seconda repubblica”; ottima affermazione del PD e del centrosinistra unito e aperto a istanze civiche in tutta Italia – con successi eclatanti in territori ove da decenni aveva governato la destra (98 comuni sopra ai 15 mila abitanti saranno governati dal centrosinistra; 44 dal PDL); il …”terzo polo” è uno strano miscuglio che si muove in modo molto variopinto e senza grandi successi (peraltro in vari casi alleato della destra); in Emilia-Romagna – dato su cui riflettere con umiltà e serenità, ma anche molto coraggio, è eclatante il successo del Movimento 5 stelle a Parma e Comacchio (e per poco abbiamo “salvato” Budrio): derubricarlo a successo “per i voti della destra” non aiuta a comprendere il fenomeno e rischia di essere fuorviante. Dove il Pd e il centrosinistra hanno espresso spinta verso il cambiamento e programmi e candidati innovativi (a prescindere dal mero dato anagrafico) hanno vinto, dove hanno intrapreso altre vie … no. Abbiamo pochissimi mesi – un lampo – per presentare un’alternativa radicale e credibile alla crisi del sistema. Una sfida straordinaria che richiede, da subito, alcune azioni concrete [segue].»

Ecco: il post finisce così, con un “segue”. Tutto dipende da come lo riempiremo, ciascuno per la propria parte.
Per Bazzano cercherò di buttar giù qualcosa anch’io. Datemi tre-quattro di giorni di tempo.


Preferirei di no: un appello sulla legge elettorale

28 marzo 2012

Il bipolarismo è l’orizzonte di riferimento in cui trova senso il progetto del PD. Ciò è vero sia nell’ottica di coalizione – quella prevalsa nell’ultimo congresso e del resto messa in pratica nelle amministrazioni di centrosinistra di tutt’Italia – sia, e anche di più, nell’ottica di “vocazione maggioritaria” e tendenzialmente bipartitista, stella polare di Veltroni dal Lingotto in poi.

La bozza di legge elettorale presentata da Violante, e a cui si ispira l’accordo di massima di ieri tra Alfano, Bersani e Casini, va in una direzione profondamente diversa. Nonché diversa dalla proposta – pure compromissoria e, va detto, pasticciata – su cui il PD aveva trovato l’accordo nell’ultima Assemblea nazionale.

Non ci si può girare intorno: prevedere un sistema di fatto proporzionale mediante il quale le forze politiche stabiliscano solo dopo il voto, a seconda dei rapporti di forza che si vengono a trovare in Parlamento, con chi allearsi – e quindi, con quale programma e quali obiettivi, indipendentemente da quelli che hanno sottoposto agli elettori – è un colpo mortale al bipolarismo. È inevitabile che piaccia a qualcuno. Anche nel PD. Ma è preoccupante che nel PD l’alleanza tra i nemici del bipolarismo e coloro che non hanno mai condiviso, evidentemente, il progetto originario del PD, risulti – allo stato attuale – vincente, non solo su quanto deliberato in ultimo dagli organi del partito, ma anche sulla stessa base che ha permesso la vittoria congressuale di Bersani, e che non contraddiceva le ragioni fondanti del partito stesso.
Ce ne sarebbe d’avanzo per chiedere la convocazione di ben più dell’Assemblea nazionale, in effetti: la preoccupazione espressa con estrema forza da Rosy Bindi (già col documento dei Democratici Davvero del 17 marzo), ma anche da Arturo Parisi, è assolutamente giustificata. Se salta il bipolarismo, il PD diventa qualcosa di profondamente diverso da ciò che è. E non è affatto detto che, nel medio periodo, continui a esistere.

Curiosamente ciò avviene dopo che sulla riforma del lavoro il PD ha trovato una notevole unità d’intenti, come non era scontato, con un equilibrio non strumentale che sembra convincere sia coloro che volentieri prepensionerebbero fin da subito il governo Monti, sia coloro che già si spingono a pensare a un governo Monti e a una “grande coalizione” anche dopo le elezioni del 2013.
Se entrambe queste tendenze – due tendenze estreme, nella sostanza, e io credo largamente minoritarie rispetto al buonsenso prevalente nel partito – si trovassero soddisfatte dell’accordo sulla legge elettorale, spero risulti chiaro a chi guida il PD che ciò significa semplicemente prevedere, senza infingimenti, che il partito si spacchi in due. E come quando si gioca con l’osso dei desideri, l’unico dubbio non è se l’osso di pollo si spezzerà, ma solo a chi resterà in mano la parte più grossa.

La legge elettorale abbozzata ieri diventa lo strumento più efficace per ottenere questo risultato. Chi la ritenesse un male minore per superare, con una visione di piccolo cabotaggio, una congiuntura non facile è invitato a riflettere sulle conseguenze pesanti che avrebbe sul medio-lungo periodo. Chi ritenesse che sia un ragionevole compromesso per superare l’attuale Porcellum – in buona fede, per ridare ai cittadini la facoltà di scegliere (anche se non è detto come!) i parlamentari; o in cattiva fede, per dare un contentino al popolo bue eliminando una fettina di posti in Parlamento ma anche il rischio, per la classe dirigente del PD, di sottoporsi a primarie per le candidature annunciate ormai con troppa solennità da Bersani (magari nella non infondata speranza di sterilizzare anche le future primarie per sindaci e presidenti di Regione): ecco, costoro e tutti tengano ben presente che, per la forza inevitabile delle cose, le conseguenze andranno ben oltre questi effetti.

 Per questo ritengo che tutti coloro che nel partito avversano questa legge elettorale, e al tempo stesso il disegno che essa favorisce, debbano mettere da parte le differenze, in particolare quelle di posizionamento e quelle che coinvolgono l’insieme delle riforme istituzionali, e porsi risolutamente di traverso. Insieme. Subito.
So bene che non è semplice mettere d’accordo chi sostiene un ambizioso superamento del bicameralismo perfetto e chi talora interpreta in modo eccessivamente difensivo la necessità di farsi garante della lettera e dello spirito della Costituzione. E chi ha idee diverse sulle prospettive del PD verso il centro e verso sinistra. Ma qui è lo stesso campo comune entro cui esplicitare queste divergenze a essere messo in discussione, e forse spazzato via. Non c’è tempo per accademismi. Chi sostiene la bozza Violante sta mettendo da parte le divergenze strategiche per segnare un punto, apparentemente “tattico”, di grande portata. Sarà meglio che chi la pensa diversamente faccia lo stesso.
Tanto per non far nomi, lo dico a personaggi del calibro di Salvatore Vassallo, alla Bindi e ai Democratici Davvero, a ciò che con Parisi resta dei prodiani, a Civati e al gruppo di Prossima Italia e a settori importanti della vecchia mozione Marino. Tutte persone che non hanno mai temuto di essere in minoranza, e di parlare con forza da posizioni scomode. Bene, anche a me non importa apparire ingenuo o fare la figura del naïf, se dico che ora non è tempo di testimonianza, né di posizionamenti. È tempo di agire insieme.


Prove tecniche (e politiche) di linking

24 settembre 2010

Da Mauro Zani (se qualcuno non sa chi è, chieda in casa o vada su Wikipedia, non prima d’aver fatto ammenda, diciottenni compresi) parecchie cose mi dividono – oltre, è ovvio, alla sproporzione di “stazza” politica. Diciamo che siamo su due coordinate parecchio diverse, e non solo per provenienza.

Forse, allora, all’interno di questa diversità, può interessare a qualcuno misurare le convergenze e le divergenze, anche se all’interno di uno scambio di pareri molto occasionale e molto parziale (e per quanto riguarda la mia parte, anche approssimativo), nato riflettendo sul documento di Veltroni e da quello precedente dei cd. “giovani turchi”.

Il discorso sul “riformismo vaporoso che svanisce in niente” mi ha aiutato anche nel rileggermi, oggi, il fondo di Luca Ricolfi, citato anche da Civati (guardare anche i commenti!) – che mi ha stupito parecchio, visto che Civati mi è sempre sembrato uno ricco di contenuti a un tempo innovativi e di sinistra (ma ultimamente sembra andare un po’ a caccia di tutto ciò che non va, in modo non sempre coerente).

Anche perché Zani mi sembra un eccellente rappresentante di quella sinistra emiliana che di tutto potrà essere accusata, men che di eccessivo idealismo e di scarsa aderenza pragmatica alle cose.

In realtà la mia paura è sempre che, di riformismo in riformismo, quando in Italia ci sarà finalmente una destra decente, democratica, europea e non populista, la scopriremo più a sinistra di noi.

Sarà per questo che mi era piaciuta parecchio anche l’intervista della Bindi al Corriere, non per i rudi personalismi contro Veltroni (in qualche modo in Direzione si è scusata lei stessa, mi pare) ma per il giudizio su quello che del discorso del Lingotto non aveva mai convinto fino in fondo neanche me, pur così forte assertore (e, in questo, agli antipodi di Zani) della necessità del PD.

Poi passo al cartaceo (in un contesto, diciamo così, privato) e mi leggo l’intervista a Ken Follett sul Venerdì di Repubblica, con quella chiusa implacabile: “Siamo seri, Berlusconi è molto buffo… ma il vero problema in Italia è un altro: il fallimento della sinistra“.
Splendida conclusione “ad anello”, visto che Follett è sempre stato vicino al New Labour di Blair, di cui Zani parla – sia pure per criticare d’Alema – con grosso sdegno.
Ma si capisce perché io sono ancora qui a cercare di raccapezzarmi, di link in link.

Aggiornamento: appunto.

Aggiornamento: nei commenti, una nota di Mauro Zani.


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