Nel valutare la questione dell’intervista di Eugenio Scalfari a papa Francesco pubblicata da Repubblica e poi smentita – nel suo carattere d’intervista e nei virgolettati attribuiti a Bergoglio, contenenti alcune affermazioni dottrinalmente discutibili, ad esempio sull’esistenza dell’inferno, ma non negata come colloquio effettivamente avvenuto – dalla Santa Sede, occorre prima di tutto una premessa.
Serve cioè avere ben chiara la distinzione tra dottrina e teologia: con la seconda che funge da “punta avanzata” dell’esplorazione del messaggio del vangelo, e la prima che – dalle origini del cristianesimo – si limita a mettere dei paletti, segnalando le elaborazioni teologiche eccessivamente devianti. La dottrina non si sviluppa come una monolitica e coerente verità ufficiale, ma come una progressiva conglomerazione di negazioni, ciascuna delle quali non di rado nega l’estremizzazione della negazione precedente, di modo che un’effettiva fisionomia emerge casomai per successive scheggiature, o in qualche modo di riflesso, a sbalzo. Se la teologia è un pendio, la dottrina non è un sentiero definito, ma tuttalpiù una larga pista da slalom supergigante, che si limita a indicare i dirupi e i vicoli ciechi senz’altro da non imboccare. Questa conformazione “per negazione” (apofatica) della dottrina si è conservata in modo più puro nella tradizione ortodossa, mentre il cattolicesimo più spesso, dalla Scolastica in poi, ha flirtato con la tentazione di adottare una teologica “positiva” ufficiale.
Ciò per dire che cosa? Che non c’è nulla di strano se un prete, che pure è il papa ma non ha affatto intenzione di smettere del tutto di fare il prete, in un dialogo – che è conversazione, prima che conversione, oltre che reciproco diletto e conforto – con un anziano amico intellettualmente inquieto e stimolante, percorra strade anche impervie e suggestive, e magari fragili, attorno a un concetto (un luogo teologico, un teologùmeno) come l’inferno, in cui i contenuti fissati dalla dottrina (davvero pochi e scarni, basti un’occhiata al Catechismo cattolico) lasciano obiettivamente molto spazio di possibile elaborazione teologica, di cui i primi secoli mostrano esempi notevoli.
È importante, naturalmente, che ciò non venga preso ad alcun titolo per un pronunciamento dottrinale; sarebbe pernicioso sia per la dottrina, sia per la teologia considerare come affermazione dotata di valore magisteriale ciò che è invece una suggestione, tuttalpiù un brandello di ragionamento fluttuante e in alcun modo determinato: da qui, è facile capire, le precisazioni sulla conversazione, che è appunto tale e non intervista, perché l’intervista, sia pure di livello autoritativo dubbio nel sistema articolato – e flessibile, come dimostrato anche da prima di Bergoglio – dei generi letterari papali, è pur sempre uno strumento per trasmettere volontariamente, “urbi et orbi”, un contenuto specifico.
Ma la testimonianza di quella conversazione rimane, in modo tutt’altro che casuale. Ciò che Francesco vuole dirci, con essa, non è sul piano dei contenuti, ma del metodo. Quanto ai contenuti, infatti, papa Bergoglio ha dimostrato di saper dire senza alcun problema, in contesti pubblici e sovente anche ufficiali, cose anomale, impreviste, scomode, o affatto importune sotto vari aspetti. Ed è chiaro che il papa è completamente padrone – al netto di imprecisioni e infortuni che pure possono capitare – della propria comunicazione, e che il sistema comunicativo del Vaticano (attualmente sotto riforma) si modella attorno alla comunicazione del papa e non viceversa, cosa vera più per Bergoglio – come per un altro grande comunicatore come Giovanni Paolo II, morto esattamente tredici anni fa – che per altri suoi non remoti predecessori. Per altro verso, la perizia teologica sovente dimostrata dal gesuita Bergoglio – al netto di un’interessata e maldestra vulgata – mostra un evidente sostrato latinoamericano, in cui l’insistenza per gli aspetti sociali si mescola, in modo alquanto naturale, con aspetti tradizionali come la devozione per Maria e i santi e – fra l’altro – richiami non infrequenti al diavolo.
Improbabile davvero, quindi, ipotizzare che la chiacchierata con Scalfari serva a Bergoglio per dire-non-dire chissà quale presunto contenuto teologico. Tuttavia essa ha indubbiamente un’utilità e uno scopo. Precisamente quello di mostrare un cristiano e un prete – che è papa – intento a mettersi in gioco a tutto tondo nel dialogo, senza lasciarsi ostacolare e irrigidire da uno schema dottrinale; un papa che si lascia provocare, rispondendo creativamente, senza disporsi in occhiuta difesa, lontano dall’apologetica, in una libertà consapevole e responsabile: come è la libertà stessa della teologia, qui esercitata – perfino con disinvoltura – dal custode della dottrina. (Va detto che anche Benedetto XVI, da papa, aveva scritto i suoi tre libri su Gesù esplicitando che essi non avevano valore magisteriale. Ma questo paragone sarebbe da approfondire guardando alle differenze oltre che alla somiglianza.) Non per mero sfizio o piacere intellettuale, che pure non sono negati: ma in ossequio all’adagio per cui salus animarum suprema lex Ecclesiae, la suprema legge della Chiesa è la salvezza delle anime. Fosse pure di un’anima sola. Qui Bergoglio si fa modello per gli operatori pastorali – cioè per tutti i cristiani: non a costo di confondere il popolo fedele, ma prendendosi il rischio, e probabilmente il gusto, di épater les (catholiques) bourgeoises oltre che di creare grattacapi ai comunicatori vaticani. Ad maiorem Dei gloriam, s’intende.
Ma come si fa a palare di teologi avanzata con Scalfari che non ha alcun rudimento teologico?
” Papa Francesco, preceduto in questo da Giovanni XXIII e da Paolo VI ma con una forza più rivoluzionaria rispetto alla teologia ecclesiale, ha abolito i luoghi dove dopo la morte le anime dovrebbero andare: Inferno, Purgatorio, Paradiso. Duemila anni di teologia si sono basati su questo tipo di Aldilà che anche i Vangeli confermano. Con un’ attenzione però – che in parte si deve alle lettere di San Paolo (quella ai Corinzi e quella ai Romani) e in parte anche maggiore ad Agostino di Ippona – al tema della Grazia. Tutte le anime sono dotate della Grazia e quindi nascono perfettamente innocenti e tali restano a meno che non imbocchino la via del male. Se ne sono consapevoli e non si pentono neppure al momento della morte, sono condannate. Papa Francesco – lo ripeto – ha abolito i luoghi di eterna residenza nell’ Aldilà delle anime. La tesi da lui sostenuta è che le anime dominate dal male e non pentite cessino di esistere mentre quelle che si sono riscattate dal male saranno assunte nella beatitudine contemplando Dio. ”
“Tutte le anime sono dotate della Grazia e quindi nascono perfettamente innocenti”
Come minimo confonde il povero Agostino con Rousseau, se vuoi leggere una conversazione su Agostino e la grazia puoi trovare di meglio:
“Martini: Sì, è un abisso che chiama un abisso, secondo l’espressione della Scrittura. Un abisso che è oltre le parole, perché con le parole non si risolvono i problemi umani, tantomeno quello del Male. Un orrore così grande può invece suscitare un bisogno di conversione totale proprio perché ci fa capire fino a che punto l’umanità può cadere. È qui che io vedo l’inferno agostiniano: la massa dannata che si distrugge nei modi più crudeli e assurdi se non accetta la conversione. Ma questa conversione non ha nulla di solipsista. Al contrario, fa emergere la comunione profonda che lega tutti gli esseri a quell’Essere da cui tutti ricevono amore e quindi capacità di comunione. È un aspetto che Cusano definirebbe come una sorta di coincidentia oppositorum, solo che in Agostino questo non è un ragionamento speculativo ma è vita vissuta. Egli vive l’una e l’altra dimensione – quella sociale e quella interiore con la medesima naturalezza.”
http://temi.repubblica.it/micromega-online/carlo-maria-martini-massimo-cacciari-dialogo-su-agostino/
Ma lo vedo solo io l’abisso di profondità e di sensibilità tra i due discorsi? Fa infuriare che si possa pensare di arrivare a qualcosa con quel gagà di Scalfari.
Aggiungo, per chiarire, che se io scrivo che la luna è una formaggia non ho fatto un avanzamento astronomico solo perché la mia affermazione si discosta dalla scienza ufficiale, mi sono limitato a scrivere una bischerata.
Uguale sulla grazia e Sant’Agostino, dire che per Agostino tutti nascono innocenti perché hanno la grazia è un errore puro e semplice perché Agostino parla della grazia in relazione alla finitudine dell’uomo, è perché l’uomo nasce ferito che ha bisogno della grazia. Serve spiegare la differenza tra le due affermazioni?
Probabilmente il Papa avrà provato a fornire qualche spiegazione del peccato, della salvezza e dell’inferno un filo più sofisticata di quello che Scalfari credeva di sapere (pure Ratzinger citava Sartre come immagine moderna dell’inferno non è che ci voglia tanto) ma essendo quello di coccio è venuto fuori questo minestrone.
Vedere in queste interviste la ““punta avanzata” dell’esplorazione del messaggio del vangelo” ce ne vuole.
Buona giornata.
Ovviamente non ho scritto in alcun modo che il colloquio del papa con Sacalfari sua la punta avanzata dell’esplorazione del messaggio del vangelo. Anzi, tutto il mio articolo serve a confutare l’idea che Francesco abbia usato l'”intervista” per far passare ufficiosamente chissà quale contenuto “scomodo”. Mentre lo splendido scambio tra Martini e Cacciari da cui trai la citazione (di cui ti ringrazio) è un esempio di dialogo teologico alto – Cacciari è troppo esperto per fare errori teologici da matita blu – ma non meno arrischiato, che percorre le “vie impervie e suggestive” a cui accennavo.
Grazie, anche per la cortesia delle tue argomentazioni.