Semplicemente quattro SI’


Voterò SI’ al primo quesito sull’acqua.
Non sono contrario a priori alla possibilità che i privati abbiano un ruolo nella gestione dell’acqua, ma all’interno di un quadro di forte controllo da parte del pubblico.
Già oggi, in una gestione mista pubblico-privato a maggioranza pubblica, come quella di Hera, è faticoso per gli enti locali dare all’azienda indirizzi diversi rispetto a quelli del puro profitto. Non penso che le cose, sotto questo aspetto, andrebbero meglio se avessimo a che fare con un’azienda prevalentemente o completamente privata!
Penso anche, a livello generale, che i presunti vantaggi derivanti dalla concorrenza nell’introduzione di un sistema “a gara” siano, per l’acqua, piuttosto illusori. E per quanto riguarda il profilo della trasparenza, preferisco un provvedimento di cui l’ente locale si assume la responsabilità piuttosto che una scelta controversa mascherata sotto la presunta neutralità di un bando di gara.

Ma soprattutto ritengo che devono essere gli enti locali (che bene o male, fino a prova contraria, rappresentano la volontà dei cittadini!) a decidere quale ritengono sia la forma più giusta di gestione dei loro impianti idrici: tantopiù in una situazione estremamente differenziata – sotto ogni aspetto – come quella italiana. Ogni territorio deve poter adottare la soluzione più opportuna liberamente e senza forzature imposte dal governo centrale, come quelle previste dalla normativa che il referendum vuole abolire.

Voterò SI’ anche al secondo quesito sull’acqua, sebbene la questione qui sia più controversa e più tecnica. Si dice che la voce tariffaria corrispondente alla “remunerazione del capitale investito” sia necessaria perché i privati trovino conveniente fare investimenti per migliorare la rete idrica.
A me sembra invece che questo tipo di remunerazione, introdotta direttamente in bolletta, attribuendo un ricavo tale che nessuna banca lo riconoscerebbe come tasso d’interesse, sia un tipico elemento da “privatizzazione all’italiana”, in cui i privati si assumono i vantaggi ma vengono tenuti al riparo dai rischi. Questo è tantopiù vero in situazioni di sostanziale monopolio locale, come quella della gestione idrica: mi sembra che in un caso del genere il rischio d’impresa sia decisamente minore di quello a cui si sottopongono, nel mercato, le nostre aziende grandi e piccole. La persistenza di un elemento del genere renderebbe ancor più dubbi i presunti vantaggi della “concorrenza” nella gestione dell’acqua. 

Voterò SI’ al quesito sul nucleare, per abrogare il piano energetico previsto.
Penso che dare il via alla costruzione di centrali nucleari in Italia, oggi, sarebbe una scelta anacronistica e non conveniente dal punto di vista economico ancora prima che da quello ambientale. Un investimento “vecchio”, che intraprenderemmo proprio quando molti Paesi stanno scegliendo strade diverse. Un investimento dispendioso, fra l’altro per il costoso acquisto di tecnologie straniere (di cui rischiamo di rimanere a lungo dipendenti), e che produrrà i suoi effetti solo in un futuro in cui ancora non possiamo sapere quali saranno le reali condizioni energetiche dell’Italia. Un progetto sul quale si aprono interrogativi inquietanti (come proteggere gli appalti dagli appetiti della criminalità organizzata?); e che – anche considerando pari a zero i rischi di contaminazione ambientale durante il funzionamento della centrale, anche in caso d’incidente – lascia comunque all’ambiente e alle generazioni future l’ineliminabile eredità delle scorie radioattive.
Nota bene: Nonostante il governo abbia modificato all’ultimo le norme da abrogare, la Corte di Cassazione ha stabilito che, trasferendo il quesito alle nuove norme, le intenzioni dei promotori del referendum rimangono salvaguardate. Al di là dei cavilli che quindi vengono agitati pretestuosamente, il senso di ciò che si esprime votando “SI'” è molto chiaro.

Voterò SI’, infine, al quesito sull’abrogazione del “legittimo impedimento”. E’ quello su cui ho avuto più dubbi: perché, da un lato, non ritengo del tutto irragionevole che chi sta esercitando elevate cariche istituzionali possa essere tenuto al riparo – momentaneamente – da incombenze giudiziarie.  Del resto, la Corte Costituzionale ha riconosciuto come incostituzionali gli aspetti peggiori della legge che era stata approvata, e quindi ha “fatto” lei una parte del “lavoro” che i promotori del referendum (evidentemente a ragione!) si erano prefissati.
Ma è impossibile non riconoscere che  – comunque la si pensi – la legge attuale sia nata fotografando un’emergenza, una situazione anomala dei rapporti tra i massimi poteri dello Stato: che la si attribuisca (come io sostanzialmente ritengo) al tentativo del presidente del Consiglio di sfuggire alla giustizia, o (come sostiene il presidente del Consiglio) a una volontà persecutoria di una parte della magistratura, è inopportuna una legge nata con presupposti così poco sereni. Meglio abrogarla e tornare al buon vecchio Codice di procedura penale: che prevede sì la sussistenza del legittimo impedimento a presentarsi a un’udienza, ma allo stesso modo per tutti i cittadini.

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